Non è facile dare una definizione breve e completa di kata. Spesso viene definito come “coreografia marziale”, come simulazione astratta di combattimento, o ancora come “memoria storica del karate”. Se nessuna di queste definizioni può dirsi sbagliata, certo è che per avere una idea complessiva, per quanto ancora vaga, di cosa sia un kata occorre affiancarle tutte. Il termine “coreografia” rimanda all’aspetto formale del Kata, che è la combinazione razionale di tecniche di parata e di attacco, secondo una sequenza che deve essere eseguita lungo l’embusen (la cui forma varia per ogni kata). Senz’altro lo studio di un kata prevede l’apprendimento mnemonico della sequenza, l’acquisizione del corretto ritmo di esecuzione, e persino una certa eleganza formale; ma se il kata fosse solo questo, altro non sarebbe che una bizzarra forma di danza. Il kata è simulazione astratta di combattimento, poiché è costruito in modo da rappresentare l’azione di un karateka circondato da avversari, perciò costretto ad eseguire tecniche in qualsiasi direzione. Per quanto gli avversari siano immaginari, l’atleta deve eseguire tecniche reali, di reale efficacia. Ogni kata inizia con una tecnica di parata ed è composto da un numero di movimenti, ciascuno ha un preciso significato ed una funzione. Non è possibile eseguire correttamente un movimento, anche solo dal punto di vista motorio, prescindendo dalla conoscenza della sua funzione. A tale scopo può essere utile lo studio delle applicazioni del kata, cioè l’esecuzione pratica con un avversario reale delle tecniche in esso contenute. Kata ed applicazioni non possono però essere confusi, poiché nelle codificazione del kata i movimenti hanno subito un processo di sintesi e formalizzazione, talvolta di stilizzazione. Questo rimanda all’aspetto storico del kata, in origine gli insegnamenti delle arti marziali orientali non potevano essere messi per iscritto, ciò rendeva necessario che ciascun caposcuola codificasse delle forme in cui fosse contenuta l’essenza del suo stile e le tecniche il cui apprendimento era ritenuto necessari. Per di più il karate, come altre arti marziali, nacque e si sviluppò in condizioni di segretezza, inoltre esistevano più scuole tra le quali spesso si svilupparono rapporti di inimicizia o concorrenziali. Queste due caratteristiche hanno determinato la necessità di occultare alcuni insegnamenti contenuti nel kata, che potevano essere così appresi appieno solo attraverso una lunga esperienza di pratica all’interno di una data scuola. Il primo a tradurre in ideogrammi giapponesi i nomi dei kata fu Gichin Funakoshi, che modificò i nomi originali in lingua cinese, in modo da poterli scrivere con ideogrammi di senso compiuto. I kata che Funakoshi introdusse nello stile Shotokan erano quindici, codificati da Maestro Itotsu, oggi la maggioranza delle scuole dello stile Shotokan conta circa trenta Kata, ma alcune rifiutano di riconoscere quelli introdotti successivamente. Vale poi la pena di aggiungere che la pratica del Kata è particolarmente consigliata durante l’età dello sviluppo perché l’esecuzione spaziale lungo un percorso che occupa le otto direzioni favorisce l’acquisizione delle abilità di coordinazione spazio-tempo e della lateralizzazione, indispensabili non solo per lo sviluppo fisico ma anche per quello cognitivo. Anche lo studio del ritmo e della respirazione sono particolarmente indicati in età infantile, tanto che nei programmi di Educazione Motoria delle scuole materne ed elementari è riservato larghissimo spazio a percorsi studiati per sviluppare queste abilità. Forse non molti sanno che nella Pedagogia Speciale già da alcuni anni i percorsi che hanno uno sviluppo spazio-temporale vengono utilizzati con quei bambini e ragazzi che hanno problemi legati all’acquisizione logica dei legami di causa effetto e di successione temporale, o addirittura con quei bambini che faticano ad ottenere un buon orientamento all’interno dello spazio foglio. Lo stesso principio è valido per tutti i bambini tra i cinque e gli otto anni, che all’ingresso nella scuola si trovano per la prima volta a dover affrontare problemi di questo ordine. Insomma il valore educativo insito in questa pratica non è soltanto di carattere prettamente morale (filosofia del rispetto e dell’umiltà), ma anche pratico, funzionale ad uno sviluppo corporeo armonico e ad un forte incentivo delle abilità cognitive.
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